NON BASTA FARE BENE, BISOGNA ANCHE SAPERLO COMUNICARE

ABOUT MONINI

Monini è una società per azioni specializzata nella produzione e commercializzazione di olio extravergine di oliva in oltre 60 nazioni. È una realtà da 154 milioni di euro di fatturato, 139 collaboratori e una media annua di oltre 35 milioni di litri di olio.

A un secolo dalla fondazione, da tre generazioni, il segreto del successo di Monini è racchiuso nell’amore e nell’esperienza maturata dalla “famiglia dell’olio”: era il 1920 quando Zefferino Monini, sesto di otto figli di una famiglia contadina, dopo una dura esperienza nella gestione della cucina militare durante la Grande Guerra, avvia a Spoleto una piccola impresa di vendita e distribuzione di oli e salumi.

“Monini: una spremuta di olive” ancora oggi rappresenta lo spirito più profondo e apprezzato del brand.

 

MARIAFLORA MONINI, AZIONISTA DELLA MONINI SPA, DIRETTRICE COMUNICAZIONE E IMMAGINE

Maria Flora Monini dal 1989 è alla direzione della Comunicazione e Immagine dell’azienda di famiglia, per la quale cura le campagne pubblicitarie, la pianificazione dei mezzi, i rapporti con le agenzie creative e media, l’organizzazione delle sponsorizzazioni, gli eventi e le relazioni pubbliche.

Dal 1991 ha assunto la gestione della società insieme a suo fratello Zefferino.

È stata presidente della sezione Spoleto Valnerina di Confindustria Perugia ed è Presidente della Fondazione Monini che ospita a Spoleto il Centro di Documentazione del Festival dei Due Mondi,  oltre a mostre d’arte, incontri culturali e concerti di giovani talenti da tutto il mondo.

 

INTERVISTA

MONINI: NON BASTA FARE BENE, BISOGNA ANCHE SAPERLO COMUNICARE

L’azienda italiana di olio d’oliva ha compreso come la qualità e il rispetto per il territorio, da sempre insiti nel proprio operato, andassero anche raccontati

Per iniziare, una domanda alla manager, a prescindere da Monini: come vede il marketing alimentare del 2021? Cambierà qualcosa rispetto al passato? Cosa?

Sicuramente qualcosa cambierà e mi auguro che il cambiamento vada nella direzione di una maggior consapevolezza, diciamo verso un ritorno alle tradizioni di tutto il comparto alimentare. Una cosa è certa: ci sarà una maggiore attenzione all’alimentazione in generale: dopo il 2020, annus horribilis, le persone hanno rivalutato il valore del cibo. Mangiare a casa ha contribuito a questo processo, purtroppo a discapito del canale Horeca e generi simili, che hanno subìto una pesante battuta d’arresto.

Le aziende food dovranno fare i conti con questa maggior attenzione da parte del consumatore e mettere in atto una serie di azioni che onorino queste nuove attese. Ad esempio dovranno evitare le campagne ad alta promozionalità, che puntano tutto sul prezzo. In passato questo tipo di campagna aggressiva ha screditato molti prodotti, soprattutto quelli di pregio, come l’olio. Un modus operandi ormai superato, che essenzialmente si basa sulla concorrenza di prezzo a discapito del valore.

In questo panorama, la comunicazione di un’azienda food che ruolo ha e come si deve evolvere per essere efficace? Su cosa deve puntare maggiormente: i prodotti, i valori aziendali, la sostenibilità, oppure altro?

Penso debba puntare un po’ su tutti questi aspetti, in maniera armonica. La sostenibilità, per fortuna, è la moda del momento, che mi auguro diventi fondante e non passeggera, come appunto sono invece le mode. Ma è una parte di un tutto più articolato.

Una cosa è certa: le aziende devono imparare a comunicare se stesse, perché il consumatore oggi è sempre più attento e più vero. Ha bisogno di trasparenza, sincerità e colloquio.

Monini fa questo da tempo:  comunichiamo ciò che siamo e ciò che facciamo. Il prodotto è protagonista e cerchiamo di spiegarlo in tutti gli aspetti che lo rendono speciale.

Monini si è data un orizzonte di 10 anni per sviluppare un piano sostenibile, che non riguarda solo la dimensione ambientale, ma  anche socio-economica, sia dal punto di vista della produzione che del consumo.

Vivendo in Umbria, un luogo ricco di natura, siamo sempre stati molto attenti al territorio. Siamo fuori dai circuiti dell’industrializzazione massiva e quindi siamo più portati a proteggerlo. Non a caso, da anni abbiamo pannelli solari, ricicliamo, differenziamo i rifiuti e, in generale, usiamo attenzioni particolari per la salvaguardia green.

L’anno scorso, per il nostro centenario, ci siamo regalati “Monini 2030”, un piano di sostenibilità decennale sui temi ambientali, della sana alimentazione, della salute e dell’educazione alimentare (ndr: per leggerlo https://www.monini.com/it/sostenibilita).

Si sviluppa in tre ambiti: il campo, la bottiglia e la tavola. Il Campo riguarda l’agricoltura, quindi le piantumazioni, lo spreco d’acqua, le coltivazioni nel rispetto dei cicli naturali e l’agricoltura integrata o biologica. Vogliamo piantumare un milione di olivi in Italia per catturare oltre 50mila tonnellate di CO2.

La sostenibilità in Bottiglia, invece, prevede l’utilizzo di materiali ecologici, la tracciabilità dei prodotti e la certificazione per l’olio 100% italiano. Ci imponiamo parametri più restrittivi rispetto a quelli della classificazione attuale per offrire maggiore qualità nonostante la nostra non sia una produzione di nicchia, che è più facilitata a garantire un prodotto eccellente.

Infine c’è la Tavola, ambito per il quale parliamo di educazione alimentare e sostegno alla ricerca: ad esempio, quest’anno finanziamo un ricercatore della Fondazione Veronesi che sta studiando le proprietà dell’olio per il ringiovanimento delle cellule negli anziani. Sosteniamo poi tanti eventi sportivi e progetti nelle scuole per educare sulla sana alimentazione e sul corretto stile di vita. Ci siamo prefissati di raggiungere 1 milione di ragazzi.

Come comunicate un progetto tanto complesso e articolato? Il vostro sito è certamente un’ottima fonte da cui attingere nozioni sull’olio e su tutto ciò che vi ruota intorno. Altro?

Investiamo tanto nelle PR, nell’Ufficio stampa e nel digital, sia sito che social. Il progetto è complesso, ma usiamo un linguaggio semplice e chiaro, diretto, che possa essere compreso da tutti. Io dico sempre: poche parole, ma buone.

Abbiamo anche ideato un logo dedicato al piano di sostenibilità, che si chiama “ A hand for the future”, in cui hand, mano, evoca la mano della spremuta di olive, il claim che da sempre ci accompagna e che viene subito riconosciuto. In questo specifico caso sorregge il pianeta, in segno di accudimento, cura e attenzione. I social, poi, sono fondamentali per poter veicolare tante informazioni singole: su Instagram e Linkedin ci siamo da un paio d’anni, mentre su Facebook da sette. Questi mezzi hanno target diversi, quindi aggiustiamo i contenuti in base al canale.

Per tutto abbiamo un piano editoriale che moduliamo ogni mese e, a turno, tocchiamo tutti gli ambiti, dal prodotto agli eventi, fino a ciò che riguarda il mondo istituzionale e, ovviamente, la sostenibilità, che oggi è il tema più trasversale.

C’è una case history di Monini rappresentativa di un aspetto peculiare della comunicazione?

Ci stiamo impegnando molto sulla linea del 100% italiano e della linea premium, ad esempio il nostro Gran Fruttato, pluripremiato e antesignano di quelli che oggi possiamo definire i prodotti non filtrati. In realtà sono un’eccellenza da 50 anni, ma per noi era scontato che fosse così, quindi non lo avevamo mai comunicato a dovere. Ma oggi se non si vede una bandiera italiana sulla confezione non si compra, quindi abbiamo semplicemente dato questa informazione in maniera più palese.

È uno sforzo notevole perché reperire materie prime italiane non è facile: l’Italia è piccola e la richiesta elevata. È un mercato importante anche all’estero: l’italianità è sempre una leva di acquisto.

Anche il biologico è un aspetto da comunicare molto chiaramente, ma è un discorso strano: tutti lo vogliono, ma costa di più e al momento della scelta tanti fanno un passo indietro.  Ad ogni modo il mercato del bio è molto cresciuto e crescerà ancora. Noi siamo stati antesignani anche in questo, perché il nostro Bios è stato il primo biologico a scaffale, e parlo di anni Novanta. Insomma, eravamo all’avanguardia ancora quando non andava di moda, ma abbiamo capito che non bastava fare bene, andava anche comunicato.