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ABOUT GRUPPO VICENZI
Il Gruppo Vicenzi si distingue come produttore d’eccellenza di pasticceria secca, fresca e assortita, basi pronte, biscotti e prodotti da forno, prodotti cortesia e monodose. Comprende 3 brand d’eccellenza: Matilde Vicenzi, dedicata alla fine pasticceria italiana, Grisbì, la famosa frolla ripiena, e Mr.Day, le merende di pasta margherita e panificati.
Il Gruppo, così come lo conosciamo oggi, si costituì nel 2005 quando Giuseppe Vicenzi compì un’operazione di grande rilievo, decidendo di acquisire tutto il ramo da forno Parmalat.
Asset fondamentale della filosofia aziendale è la presenza nei mercati con un mix strategico di diversificazione distributiva, che va dalla classica GDO ai negozi di delicatessen, dal canale Ho.re.ca al vending, ai bar e aeroporti con i monoporzionati e i prodotti cortesia.
CRISTIAN MÒDOLO
Cristian Mòdolo dal 2011 riveste la carica di Direttore Marketing e Comunicazione del Gruppo Vicenzi. Alle spalle un’esperienza di oltre 15 anni nel food: Ecor Naturasì e Bonduelle hanno segnato la sua crescita professionale. Da gennaio 2011 approda nella storica azienda veronese Vicenzi Spa con l’intento di puntare sull’innovazione per consolidare e potenziare i brand del Gruppo sia sul mercato italiano che sul mercato estero. Pragmatico e orientato agli obiettivi, Cristian Mòdolo unisce l’esperienza manageriale all’approfondita conoscenza dei mercati e delle dinamiche distributive.
LE NUOVE GENERAZIONI NON CONSUMANO PIÙ “PRODOTTI EROE”: SECONDO VICENZI, NEL FOOD VERRÀ MENO LA CULTURA DEL MEGA BRAND
Al Direttore Marketing Cristian Mòdolo piacciono le sfide e racconta i casi più difficili che ha affrontato per il gruppo veronese: “La vera sfida è coinvolgere le nuove generazioni: lo facciamo incontrandoli sui nuovi media, come Twitch”
Per iniziare, una domanda al manager, a prescindere da Vicenzi: come vede il marketing alimentare del 2021? Cambierà qualcosa rispetto al passato? Cosa?
Si evolverà e si adatterà al nuovo contesto attuale, in cui stiamo somatizzando, o meglio sedimentando, quello che è il post Covid. Le aziende dovranno fare i conti con l’incremento fuori controllo del costo delle materie prime: attenzione, perché anche se questa sembra una tematica economica, impatterà sulle azioni di marketing. Un cambiamento, poi, è sotto gli occhi di tutti: le aziende stanno spostando il peso degli investimenti verso l’e-commerce. Gli stessi supermercati lo stanno facendo: il nuovo retail digitale è una realtà da tenere in considerazione in tutti i piani di marketing e di comunicazione.
In questo panorama, la comunicazione di un’azienda food che ruolo ha e come si deve evolvere per essere efficace? Su cosa deve puntare maggiormente: i prodotti, i valori aziendali, la sostenibilità, oppure altro?
Non c’è una ricetta magica, ma come sempre si tratta di un mix di ingredienti che devono essere presi in considerazione. La sostenibilità è sulla bocca di tutti, anzi, non è più nemmeno un tema di marketing, ma una necessità operativa. Sarebbe miope non considerarla nelle decisioni aziendali a tutti i livelli.
Il prodotto deve restare centrale e con esso la capacità di innovare. Un’azienda storica come la nostra ha l’obbligo di capire le nuove generazioni per comprenderne i bisogni e le aspettative. La generazione Z (che per convenzione comprende i nati tra il 1995 e il 2010, ndr) ha scardinato i modelli di branding: per i giovanissimi non c’è più la cultura del mega brand. Io sono cresciuto divorando le barrette più famose del mondo, oggi invece non succede. I brand erano parte della vita, ma il prodotto eroe è venuto meno. C’è molta più offerta e molti più punti di approvvigionamento, quindi c’è più volatilità nella scelta.
Il tema ambientale è sempre più centrale. Sono ripresi i FridaysForFuture, a novembre a Glasgow ci sarà la COP26, e il consumo consapevole sta diventando una bandiera dei nuovi stili di vita. Questo come impatta sulla comunicazione food?
Impatta moltissimo. Le grandi aziende dovranno fare i conti con la richiesta crescente di prodotti a chilometro zero. In tutto questo mi chiedo: la marca come verrà considerata? Si favoriranno i piccoli produttori, che possono accedere allo scaffale infinito di Amazon? Sono domande che un professionista di marketing di un’azienda food deve iniziare a porsi per trovare le risposte adeguate e il giusto equilibrio.
A questo tema corrisponde la ricerca della genuinità: Vicenzi si definisce con una sorta di ossimoro, “alta pasticceria industriale”
Esatto, lo abbiamo coniato perché rispecchia il pensiero dei nostri consumatori. Le indagini ci dicono che siamo considerati la più artigianale tra le aziende industriali, ed è vero. Nei nostri processi abbiamo ancora una forte componente di manualità. Le famose 192 pieghe della sfoglia Vicenzi non potrebbero essere realizzate solo dalle macchine. Poi sa, certe attrezzature sono come le caffettiere, che quando le cambi il caffè non è più buono. Nel nostro caso, quindi, l’innovazione sposa davvero la tradizione.
Per quanto riguarda la Sostenibilità, avete un progetto peculiare e come lo comunicate?
Abbiamo pubblicato il secondo rapporto di responsabilità sociale d’impresa, con una chicca che mi piace davvero molto: gli 8 nipoti del presidente, che vanno dai 6 ai 19 anni, hanno voluto dare un segno scrivendogli una lettera per spronarlo negli obiettivi sostenibili. Questo scritto è stato usato come introduzione, firmato di loro pugno. In sintesi fanno il tifo per il nonno e lo incitano a continuare su questo impegno per rendere l’azienda pronta alle istanze di responsabilità sociale che richiederà il prossimo futuro.
C’è una case history Vicenzi rappresentativa di un aspetto peculiare della comunicazione?
Il nostro prodotto eroe è sicuramente Grisbì. Nel 2005 aveva un ruolo marginale, ma siamo riusciti a renderlo un prodotto mitico attraverso le edizioni limitate o estive, offrendo un racconto anche in un periodo dell’anno dove normalmente i prodotti a base di cioccolato, ripieni o ricoperti, hanno un drastico calo delle vendite. Abbiamo trovato occasioni di consumo aggiuntive e siamo riusciti a neutralizzare l’impatto legato alla stagione, tanto che l’anno scorso, a luglio, abbiamo registrato il picco di vendite.
Grisbì è un prodotto davvero interessante dal punto di vista della comunicazione. Mi spiego: la voglia di mangiarlo è seguita dal senso di colpa dato dalle calorie, ma è questa batteria emotiva che lo rende speciale, come accade nell’innamoramento. Sono anni che cresce a doppia cifra. Il contenuto calorico, quindi, è una sfida, ma ci piace.
Altra bella scommessa comunicativa? Mr.Day, brand acquisito dal crac Parmalat, messo veramente male ai tempi. Oggi guadagna e dà lavoro grazie a un riposizionamento del brand intelligente e a una buona comunicazione.
Quali sono i canali di comunicazione che privilegiate? Come li usate?
Usiamo un po’ tutte le leve, senza una predilezione, anche perché il nostro portafoglio di marchi copre tutti i target. Per Mr.Day, consumato dalle generazioni Z e Alpha (che segue la Z, ndr) lavoriamo sulle confezioni, che diventano esse stesse un media: inquadrando il QR code, che il Covid ci ha fatto riscoprire, il pack si anima con la realtà aumentata.
Abbiamo iniziato anche a investire sui nuovi media del mondo del gaming, come Twitch, innovativa frontiera di comunicazione. Ovviamente Tik Tok è già sedimentato nei piani media.
Questo per i giovanissimi. Per i meno giovani ci sono Instagram e Facebook, che oggi è il più agée di tutti. Lavoriamo molto anche su Pinterest per la sua forte componente di suggestione visiva, necessaria per le ricette che si mangiano con gli occhi.
Rimane poi l’Ufficio stampa, sia trade che consumer, sia online per le PR digitali che classico. Lavoriamo molto anche sul locale perché siamo davvero radicati sul territorio e questo aspetto non va mai tralasciato.